di Loredana Rea
Da oltre un ventennio la ricerca di Vito Capone ruota intorno alla materia, articolandosi come serrata indagine sulle sue possibilità espressive, sulle sue capacità di trasformarsi in altro attraverso gli strumenti dell’arte. Ma, in una maniera atipica e decisamente singolare nell’ampio panorama della sperimentazione contemporanea, l’attenzione dell’artista fin da principio, da quando cioè compie il definitivo abbandono della pittura, si orientq verso l’analisi dì un solo materiale, la carta, per portarne alla luce la natura, i ritmi profondi che regolano il suo organico sviluppo, l’essenza,
A guidarlo non è, infatti, la curiosità di sperimentare sempre nuovi materiali, seguendo l’idea di una manipolazione fine a se stessa, sia pure per raggiungere risultati di calibratissimo equilibrio formale, condizione questa che a partire dalla seconda metà del novecento ha offerto continui impulsi e stimoli diversi alla ricerca artìstica, quanto piuttosto l’esigenza ineludibile di scoprire le possibilità semantiche ed anche, soprattutto, la forza evocativa e la vitalità poetica di una materia antica, apparentemente fragile eppure sorprendentemente resistente all’usura del tempo.
Per Capone la carta non è semplice supporto, superficie ordita di sottili trame che svela e rivela, che nasconde e contemporaneamente mostra l’esistenza di una realtà altra, impenetrabile agli sguardi superficiali. Né soltanto struttura portante dell’opera, materia duttile da cui l’artista con certosino rigore plasma le sue forme, senza mai abbandonarsi alla felicità manuale del fare, ma anzi cercando sempre un sottile equilibrio tra le intrinseche potenzialità del materiale scelto e la costruzione necessaria per sottometterlo alla specificità del linguaggio. Per Capone la carta è l’opera: modellata, mescolando alla polpa foglie, erbe, giunchi sottili, fili di cotone e canapa, incisa per evidenziare la tattilità della superficie e creare sapientemente escrescenze e solchi, sovrapposizioni e incrinature, pigmentata, utilizzando con grande raffinatezza il bianco e il nero, colori non-colori che esaltano la luce sublimandola.
L’arte, infatti, è intesa non soltanto come capacità di fare della materia una epifania, inevitabile apparizione legata alle sue connaturate qualità, alla sua specifica sostanza, quanto soprattutto come possibilità di lasciare emergere dalla sublime fragilità, dall’ineffabile inerzia della materia le immagini in essa contenute, il disegno che viene fuori da dentro le cose.
Da qui la necessità per l’artista di lavorare la carta con le proprie mani, di manipolare la materia per piegarla alle proprie esigenze pur rispettandone l’essenza. È così che dalla polpa vischiosa nascono manufatti dal carattere inconfondibile, in cui la tensione poetica si mescola inscindibilmente alla sensualità di una sostanza sensibile, fatta di superfici porose e sapienti consunzioni, di corrugamenti e sorprendenti stratificazioni, di slabbrature e improbabili addensamenti. Capone utilizzando la carta con raffinata sensibilità costruisce, infatti, opere in cui
10 spazio, concepito come architettura complessa, immagine tangibile della dinamica discontinuità del reale, e il tempo, inteso come possibilità di oltrepassare la mutevole compiutezza dell’apparenza per raggiungere l’incessante diversità dell’infinito, sanano la loro dicotomia, Opere in cui a forme, rigorosamente chiuse in una misurata solennità corrispondono forme studiatamente aperte, come scavate da una sorprendente aerea permeabilità, Opere in cui il segno, che si concretizza in sottili filamenti glutinosi intorno a un’anima rigida, dialoga dialetticamente con
11 vuoto creato da una calibrata rarefazione della materia. Opere che sì nutrono di quella stessa armonia delle grandi scene di battaglie dell’antichità, in cui spazio e tempo, forma e luce sono indissolubilmente legati gli uni agli altri da un profondo equilibrio.
Proprio la necessità di equilibrio tra questi diversi termini denota in maniera inconfondibile la ricerca di Vito Capone. Un percorso che si snoda lungo un tracciato che, pur avendo come radice e inevitabile punto dì arrivo la riflessione sulla materia, si articola intorno a contesti differenti, a cogliere tra le sperimentazioni linguistiche e metodologiche le infinite declinazioni della contemporaneità.
Loredana Rea
L’essenza della materia – Studio Arte Fuori Centro (Roma, 2003)